Nell’Epoca Contemporanea, il Tatuaggio Sciamanico.
Quello del tatuatore è un ruolo di responsabilità, spesso praticato da medici o saggi sciamani, scopritori e conoscitori dell’io e delle connessioni tra le persone e il tutto. Oltre la pelle, il tempo e la stessa vita di chi lo indossa, il Tatuaggio accompagnava le popolazioni Nomadi da sempre. I Nomadi avevano un numero ristretto di beni materiali da poter portare con se, i tatuaggi non si perdono.
Nelle società tribali il tatuaggio era da considerarsi un traguardo, rito di passaggio. Nella società criminale siberiana il tatuaggio va sofferto.
Rito di passaggio perché cerca di sigillare la porta mentre ti aiuta ad aprirla, il fatto del bucare la pelle fa uscire qualcosa da dentro, serve a “sfogare, sfiatare, sbuffare via” per tornare più o meno all’equilibrio.
L’immaginario di tatuaggio nella società contemporanea è lo stesso che nell’antichità legava il tatuaggio ai barbari. Siamo cresciuti con l’idea che il tatuaggio dovesse appartenere al galeotto, al marinaio, l’estraneo, l’alieno. Alienato, di conseguenza emarginato, non compreso o condiviso.
Nella società moderna parlare di tatuaggio sciamanico può rendere l’idea di qualcosa di poco tangibile ma reale.
Ad un certo punto il tatuaggio arriva, non qui e ora ma da quel punto in poi non si torna più indietro: il tatuaggio diventa il metro di paragone, il punto di partenza, la vetta da scalare e la soglia da varcare. E si ritorna cambiati, la morte dell’individuo nella nascita di un altro.
La differenza è nelle intenzioni, valorizzando il tatuaggio come mezzo per arrivare a se stessi, non come fine e punto di arrivo.
Spesso il dolore legato alla pratica ti fa più o meno forte, tollerante: rinnova il contatto con la terra e il qui ed ora, pur muovendosi in una dimensione indefinita dove spazio e tempo diventano relativi.
In forme diverse e in posti diversi ma contemporaneamente, come vaccino per il tempo nella memoria primordiale del legame con il nostro io profondo.